La notte era tranquilla, e la riva del lago silenziosa come un dipinto. Gulcemal, da una distanza, seguiva Deva mentre si avvicinava all’acqua. Una sensazione vaga ma piena di dubbi lo pervase. Pensava che stesse facendo qualcosa di losco, forse un’azione segreta che non riusciva a capire.
Lei non sembrava accorgersi della sua presenza, le mani salde sull’arco, lanciando silenziosamente le frecce verso la superficie calma del lago. Ogni freccia volava nell’aria buia, creando piccoli cerchi di onde che si infrangevano sulla superficie dell’acqua. Gulcemal si sentiva confuso, non riusciva a capire cosa stesse facendo Deva, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da lei.
Alla fine, Deva si girò e lo fissò. I suoi occhi brillavano nella luce soffusa della sera. “Ogni freccia è un messaggio,” disse con una voce calma ma carica di dolore. “Un messaggio per mia madre, che non c’è più.” Gulcemal aggrottò la fronte, non capendo. “E questa,” continuò Deva, “è una freccia per te. Un promemoria del dolore che mi stai causando.”
Gulcemal rimase immobile, un’onda di confusione lo travolse. Non poteva negare le parole di Deva, ma non sapeva cosa fare per rimediare ai suoi errori. Il tempo che aveva per dimostrare la sua innocenza stava rapidamente finendo. Una sensazione di ansia e paura lo sopraffò, mentre si rendeva conto che ogni sua azione lo stava allontanando dal perdono di Deva, e forse anche dalla verità che non voleva affrontare.
Il lago restava tranquillo, ma nel cuore di Gulcemal, le frecce di Deva sembravano trafiggere il suo cuore, impedendogli di fuggire ulteriormente. Il tempo stava per scadere, e doveva affrontare le conseguenze dalle quali non poteva più sfuggire.