Emir, con un’immensa furia dentro di sé, era deciso a far pagare ad Asu i crimini che lui riteneva avesse commesso. La condusse, insieme a Tufan, in una fabbrica abbandonata, dove la costrinse a mettersi alla guida di un’auto, con l’intento di farle provare la paura più profonda. Voleva che sentisse il dolore che lui stava sopportando, e nei suoi occhi non c’era spazio per il perdono. Tufan rimase in silenzio accanto a lui, osservando, ma con uno sguardo pieno di complicità.
Proprio quando Emir stava per mettere in atto il suo piano, una figura familiare apparve. Mujgan, la madre di Emir, insieme a Nihan, fece il suo ingresso, interrompendo la tensione nell’aria. Mujgan si avvicinò rapidamente, cercando di fermare suo figlio. “Emir, fermati!” gridò. “Non puoi fare questo ad Asu.” Ma la furia negli occhi di Emir non si lasciò facilmente fermare. Guardò sua madre, poi Asu, e infine ammise il crimine che pensava lei avesse commesso: “Lei ha ucciso mio padre. Deve pagare.”
Nel frattempo, Nihan, rimasta nascosta nell’ombra, sentiva ogni parola di Emir. Non poteva restare a guardare quando scopriva la verità sul terribile incidente che lei stessa aveva vissuto. Nihan uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò a Emir, cercando di reprimere il dolore nel cuore. “Emir, fermati. Non continuare. Non lasciare che il tuo dolore ti controlli,” disse, la sua voce soffocata dalla sofferenza. Le sue parole suonavano come una supplica, un ultimo tentativo di farlo rinunciare alla sua vendetta.
Il momento di tensione si protrasse, e negli occhi di Emir, una leggera indecisione emerse. Sua madre, Mujgan, si avvicinò e allungò la mano per fermarlo. La loro presenza lo fece vacillare, ma la rabbia rimase ancora nel suo cuore. Tuttavia, le parole di Nihan lo fecero esitare. Non riusciva a ignorarle, ma allo stesso tempo non poteva dimenticare il suo dolore. Alla fine, Emir si voltò e se ne andò, lasciando Asu e gli altri nel silenzio. Ma nei loro cuori, le domande senza risposta continuavano a vivere.