In una piccola stanza del carcere, Tarik sedeva immobile, gli occhi pieni di tristezza, come se tutte le sue forze fossero state svanite. La debole luce della lampada sul soffitto proiettava ombre lunghe contro le pareti, riflettendo il suo stato d’animo. Di fronte a lui, Kemal stava in piedi, dritto e sicuro, senza paura o alcuna emozione negativa.
Tarik alzò lo sguardo verso suo fratello, la voce rotta dal senso di colpa, ogni parola che usciva come una confessione dolorosa: “Non merito di essere tuo fratello. Voltati, Kemal. Solo così potrai affrontare Nihan.”
Le parole di Tarik lo ferirono come un coltello, ma non riusciva a fermarsi. Aveva fatto troppo male, e ora non c’era altro che rimorso e dolore. Le immagini di Nihan, la donna che amava, e di tutto ciò che aveva fatto per ferirla, lo tormentavano come onde che travolgevano la sua mente.
Kemal rimase in silenzio, ma non distolse lo sguardo. Non si fece intimidire, né si mostrò debole. “Tu sei mio fratello. Non ti abbandonerò mai,” disse, con voce ferma, come se sapesse che, qualunque cosa fosse successa, la famiglia sarebbe sempre stata la famiglia.
Tarik non riuscì più a guardarlo negli occhi. Abbassò la testa, sentendo il peso del suo stesso senso di colpa. Ma, nonostante tutto, in fondo al suo cuore, una piccola scintilla di speranza continuava a bruciare. La sensazione calda e inaspettata che provava vedendo Kemal ancora lì, al suo fianco, non lo lasciava andare. Si rese conto che doveva cambiare, doveva trovare un modo per riparare agli errori che aveva commesso.
Sussurrò a se stesso, anche se non c’era molto tempo o molte possibilità rimaste, che se non avesse agito, non sarebbe mai riuscito ad affrontare Nihan, né se stesso. Tarik chiuse le mani a pugno, come una promessa silenziosa a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per redimersi e riparare i suoi errori.