Ibrahim entrò nella stanza buia, dove Gara era in piedi, con lo sguardo gelido e affilato come una lama. Il loro colloquio non dava segni di riconciliazione. Gara non si prese nemmeno la briga di salutare, iniziò subito a parlare, la voce bassa e decisa: “Non ho cresciuto mia figlia. Invece, mi sono presa cura dei figli di Zafer, insegnando loro a odiare e incitandoli alla vendetta.”
Ibrahim rimase in silenzio, il cuore colmo di rabbia. Le parole di Gara furono come un colpo al cuore. Ciò che aveva appena ascoltato non era la verità che aveva sperato. Gara, la donna che aveva considerato parte della sua famiglia, era capace di tanto egoismo e crudeltà. Il dolore che provava non veniva solo dal tradimento di lei, ma anche dal fatto che ora si trovava in una posizione difficile.
“Perché lo hai fatto?” chiese Ibrahim, cercando di contenere la rabbia. “Cosa ti ha spinto a insegnare ai bambini così tanto odio?”
Gara non rispose, ma lo guardò con occhi pieni di superbia. “Il motivo non importa. L’importante è che ho fatto quello che dovevo fare. E se vuoi la pace, starai zitto e non dirai nulla a Gulcemal.”
Ibrahim sentiva il peso di queste parole gravare su di lui. Sapeva che se questa verità fosse venuta a galla, avrebbe solo aumentato il dramma della famiglia e avrebbe fatto soffrire ancora di più Gulcemal. Ma dentro di lui, una tempesta di domande si stava scatenando. Il silenzio era davvero la soluzione giusta? Proteggere la pace o nascondere una verità crudele? Ibrahim non lo sapeva, ma sapeva che quel silenzio lo avrebbe tormentato per il resto della sua vita.