Asu era seduta nella fredda stanza degli interrogatori, il volto mantenuto calmo e imperturbabile, illuminato dalla luce fioca della lampada sopra di lei. Di fronte, l’investigatore Mercan la osservava con uno sguardo severo, quasi volesse penetrare la maschera di tranquillità che Asu indossava. Sapeva che stava giocando una partita pericolosa, al confine tra vittoria e sconfitta, ma non poteva permettersi di mostrare alcun segno di debolezza.
Intanto, in un’altra parte della stazione di polizia, Nihan sedeva rannicchiata nella cella, le mani strette una nell’altra. Il peso della paura gravava su di lei come una tempesta senza fine. L’immagine di Kemal le appariva continuamente nella mente, come un raggio di luce che taglia l’oscurità. Si chiedeva se lui fosse là fuori a cercare un modo per salvarla.
Improvvisamente, la porta della stanza degli interrogatori si aprì. Asu si alzò, il suo sguardo glaciale rivelava una leggera esitazione. “Voglio ritirare la denuncia,” dichiarò con voce ferma, lasciando Mercan visibilmente sorpreso. La decisione di Asu non era dettata dalla compassione, ma da una strategia. Per Nihan, però, significava la libertà.
Quando la porta della cella si aprì, Nihan uscì, i suoi occhi ancora velati dalla paura, ma ora brillavano di speranza. Davanti a lei c’era Kemal, con uno sguardo deciso. Senza dire una parola, si avvicinò, prendendole delicatamente la mano. “Nessuno potrà separarci,” affermò Kemal, con una voce calda e sicura come una promessa.
In quel momento, ogni paura e dubbio sembravano svanire. Anche se il cammino davanti a loro era ancora pieno di difficoltà, il loro amore era un legame forte e indissolubile. Asu, da lontano, li osservava, con un sorriso amaro e complesso sul volto. Sapeva di aver perso una mano in questa partita, ma il gioco non era ancora finito.